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È ancora estate.
Mi capita più spesso di incontrare l'alba.
Il crepuscolo ha lasciato il posto ad un'alba rosa, questa mattina
e il sole filtra dalle finestre e tra i capelli.
È la stagione della mezzaluna calante, delle notti passate al tavolino del bar, del vino e dei calici, dei pacchetti semivuoti e degli accendini scarichi.
Quando tutto ritorna più buio
sai che qualunque sensazione verrà puntualmente cantata,
e quella leggerezza di certe ore e di certe mani delicate
sarà mirabilmente guardata e ascoltata
da ogni venatura di questo spazio siderale.
Qui la luna e le stelle non dormono mai.
Allora ritorno. Mi abbraccio.
Perché è sempre a te che devi ritornare.
E ritornare a quel profondo senso di giustizia che
non serve spiegare che è la mia solitudine la più fedele
all’unico spirito potente, quello creatore, che ci fa tornare artefici.
Anche quando con la miopia della vista viziata
la nostra testa tenta di farci credere il contrario.
Fin dove possiamo, ci trasformiamo.
E forse anche oltre. Avvicinarsi sempre di più alla propria essenza.
Così si può sentire ancora battere il cuore.
Tutto è prezioso, nulla è sprecato, niente è dichiarato.
Ci sono sempre senza esserci mai
nessuna strategia, solo un senso autentico e non contaminato di ciò che sento.
Un fiuto, decisamente solitario
su quanto la vita possa cercare di addomesticarmi.
Il corpo cerca sempre di avvisarmi.
O inciampo o cado o svengo.
Ma non ha capito che io sono radicale e radicata.
Guai a me a dimenticarlo ancora.
Ci metto un sacco di tempo, lo so.
Ma è la mia preghiera stretta tra i denti.
E invece eccomi di nuovo a me
sempre fedele alle solite e calde malinconie che mi
si appiccicano addosso.
Che anche quando tutto va al contrario
non lascio mai che mi consumi
come un lunedì mattina o l'amore o il dolore o le promesse.
Che sia regola
e soprattutto insegnamento
il filo che unisce ciò che siamo a ciò che facciamo.
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